Quello che resta di Lucia Boni
Nella scultura, ciò che la forma può dire, è già detto nella forma stessa.
Il compito della parola è percorrere una strada parallela, suggerire scorci, riflessi, rivolgimenti del pensiero, sussulti dello sguardo, altri.
La parola propone un ascolto, che non può essere a commento della forma, bensì altra forma, per gustare in modo diverso, dare accesso ad un sentire con gli occhi.
Maria Cristina Pacelli sa bene cosa va cercando con le forme, che dà alle proprie sculture e lo dichiara con insistenza.
Vuole fare "emergere un inconscio", perchè non resti astrazione in uno strato di profondità tale da non poter essere percepito, se non dal soggetto che lo genera. Pacelli vuole "comunicare, attribuendo al sommerso una materia sensibile", tanto che le memorie personali assumano stato di corpo e non di essenza.
Non si tratta del corpo che era, ma del corpo che resta, dopo le trasformazioni che la vita e il tempo operano, inesorabilmente.
Nè degenerazione, nè attaccamento al passato, parliamo dunque al presente: la memoria del presente è dar conto di una metamorfosi continuamente in atto.
L'immagine potrebbe essere quella dello scoglio, che affiora o sparisce con la vita del mare, in cui si alterna marea a marea, dove si piega la realtà a categorie: del visibile o dell'invisibile. Non per questo pensiamo che siano perdute, e poi restituite, porzioni di terra, alla superficie dell'acqua, è soltanto la memoria che rende vere ambedue le realtà e si fa testimone di quanto via - via è destinato a cambiamenti.
Ogni realtà è crisalide di se stessa e della propria propensione alla metamorfosi.
La forma, come in una pupa che appare immobile, matura invece nuova vita, nuovo nutrimento, nuovo respiro, di secondo in secondo, interpretando il suo destino di crisalide.
Quando tutto si è compiuto, nei tempi stabiliti, le pupe furiescono dall'involucro ed, in talune specie, questo rimane integro.
Materia che resta, talora forma che resta!
Materia e forma sono testimoni di una vita.
Così la scultura, materia apparentemente bloccata in una forma, come il bozzolo abbandonato dalla crisalide, è espressione del passato che è destinato a rappresentare.
La domanda è:
quella forma e quella materia sono ancora vita?
E se, dopo l'interferenza con altri processi vitali, ancora subiranno cambiamenti (nell'aspetto e nella sostanza), in quale misura la loro successiva evoluzione conserverà traccia dei precedenti stati?
E ancora in questa ipotesi, una questione che riguarda la memoria e la coscienza.
Per esempio: nella pelle abbandonata sul sentiero della biscia, c'è memoria del contatto con il corpo vitale del rettile?
E un guanto sfilato dalla mano: ne conserva il profumo, ma ne avrà nostalgia?
E c'è nostalgia dell'albero, nelle foglie, una volta cadute?
Cosa resta? Improvvisamente si fa pensiero struggente e una musica, senza volere, l'accompagna: Que reste- t- il de nos amour. [http://youtu.be/hF9FSX0kqr0]
Nessuna tristezza in questo. La memoria di ciò che è stato, vive, ora, a preparare il poi, come dice Lao Tse:
"Ciò che per la crisalide è la fine del mondo, per il mondo è una farfalla".
Ferrara, Gennaio 2013
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